Fanpage, Carlo Cerciello racconta Scannasurice di Enzo Moscato

TGR (minuto 16′ 35′)’

“Patapatrùm! Se ne cadette tutte cose: ‘o palazzo, ‘e balcune, ‘e ffeneste, ‘e purticate, ‘e pilatre, ‘e ballature… Fuje ‘n attimo…”. Sembrerebbe l’epicentro poetico e schizzato d’un resoconto del terremoto di Napoli dell’80, invece quest’incubo, nel primissimo (bellissimo) testo-poema di Enzo Moscato, Scannasurice, è anche il pretesto apocalittico, l’appiglio sismico per dar fiato al tracollo sociale (ed etico) d’una città, con cronaca dai bassifondi dei Quartieri Spagnoli. Ora, se 33 anni fa era lo stesso Moscato a farsene interprete e cantore, impersonando un travestito in abiti sbrindellati, la forte idea di oggi del regista Carlo Cerciello fa leva – senza l’ideatore-protagonista – su due soluzioni assai vincenti, capaci di dare nuovo senso all’opera originaria. Intanto nel ruolo di quell’aedo osceno, di quel portavoce sinistrato di una comunità, c’è adesso una donna, l’attrice Imma Villa, che funge alla rovescia da creatura transgender con canottiera e mutande da uomo, e pelliccia tigrata sintetica da personaggio della notte: per fisicità e per disordine espressivo la sua condizione di marginale è resa molto ben straziata e priva di complessi, incarnando una neutralità offesa e aliena. L’altra mossa riuscita di Cerciello consiste nell’aver ambientato tutto in una sorta di ossario dei Cappuccini, una specie di catacomba (artefice Roberto Crea) composta di loculi somiglianti a ipogei, a ripari/rifugi del sottosuolo napoletano, un labirinto di microspazi in cui Imma Villa si colloca esplorandoli uno ad uno, come più gironi di un inferno. Il resto è un’eloquenza per mappature di topi in mezzo a ceri cimiteriali, un exploit di madonna incorniciata da lumini di un’edicola terragna, con tarocchi, citazioni al curaro, melò triviali e travestimenti di lusso. Un teatro di malesseri che sono emozioni. Con la risorsa di due finali, comprendendo quello più orientaleggiante che apportò Annibale Ruccello facendo la regia a Moscato due anni dopo il battesimo iniziale. Uno spettacolo che onora la drammaturgia e la sonorità fosca di un dialetto lirico.

Rodolfo Di Giammarco, la Repubblica naz.

Ebbene, Cerciello, e ancora una volta con lucida intelligenza, punta sulla radicalizzazione del dettato moscatiano che già aveva adottato nell’allestimento di «Signurì, signurì…». A cominciare dalla scelta di affidare il personaggio protagonista a un’attrice: in tal modo scompare il desiderio del travestito d’essere donna, e dunque scompaiono tanto la sua utopia esistenziale quanto il percorso dell’illusione ad essa legato. Al centro di tutto questo, infine, si colloca un’Imma Villa semplicemente strepitosa: carnale, ironica, rabbiosa, sperduta e tenerissima, dona una sanguigna e appassionata verità sia ai tarocchi che Cerciello le fa appendere a una corda per richiamare con altrettanta ironia i proverbiali panni stesi ad asciugare sia alla Bella ‘Mbriana e al Munaciello evocati da Moscato come vie di fuga dalle macerie della realtà.

Enrico Fiore, Il Mattino / Controscena

(…) Così la Napoli di Moscato dilata il suo spazio metafisico nelle coscienze incapaci di ogni redenzione, e s’incarna in una divinità dai mille gesti, dai volti dispari, dalle voci malate e senza speranza. Tutte tenute insieme da un solo corpo d’attrice, straordinaria, Imma Villa. Grazie a lei il pubblico, emozionato, commosso, turbato, ferito, esaltato, scopre la gioia ed il dolore di condivisioni che a volte ci concede il teatro. Accade raramente ed è un prodigio ed un dono. E gli applausi sembra non debbano mai avere fine.

Giulio Baffi, la Repubblica

Scan­na­su­rice è uno dei primi testi scritti per il tea­tro da Moscato, e reca for­te­mente il segno impresso dal momento della crea­zione, nei primi anni suc­ces­sivi al ter­re­moto del 1980. Di cui coglie l’effetto disgre­gante, piut­to­sto che quello rige­ne­ra­tore di ener­gie. Un let­te­rale sfal­da­mento, che si riflette anche nella lin­gua. Come se quella lon­tana nut­tata eduar­diana fosse ormai desti­nata a non pas­sare più. E che oggi diventa forse meta­fora di una più gene­rale disgre­ga­zione sociale, se non di una vera e pro­pria muta­zione antro­po­lo­gica. Non è un caso che abbia attratto l’attenzione di un arti­sta come Cer­ciello, capace come pochi altri di con­fron­tarsi con i nodi della sto­ria del paese nostro, con ciò che lega il pre­sente a un pas­sato più o meno recente. (…) una scrit­tura che sotto il tra­ve­sti­mento della «prosa», il man­te­ni­mento cioè di certi suoi ele­menti for­mali, è già al di là dei padri, da Scar­petta allo stesso Viviani. Una lin­gua aperta alla con­ta­mi­na­zione, che danza in maniera vitale con le parole per ricom­porre un uni­verso suo pro­prio. E non a caso si esprime nella forma pre-drammatica del mono­logo, che impe­gna l’interprete, qui una bra­vis­sima Imma Villa, a inne­scare un dia­logo con­ti­nuo con lo spettatore.

Gianni Manzella, Il Manifesto

Nel 1982, Scannasurice segnò il debutto ufficiale sulle scene di Enzo Moscato: non spettacolo, ma rito irriverente, mistico e sanguigno di parola che si fa corpo, in un saliscendi ossimorico che è poi diventato la cifra riconoscibile della sua scrittura. Avventurandosi in un terreno quasi del tutto inesplorato, Carlo Cerciello ce ne restituisce una versione lucida e incisiva, del tutto fedele al testo originale, di cui mantiene entrambi i finali. Protagonista assoluta, una strepitosa Imma Villa che riesce nel compito pressoché impossibile di sostituirsi all’autattore: le parole a lei affidate deflagrano in scena in tutta la loro potenza evocativa e immaginifica. Un lavoro notevole, che segna un importante punto d’arrivo. O, per certi versi, di partenza.

larepubblica.it / Che teatro che fa

Frammentaria, altisonante, popolare insieme, musicale, anche questa volta la narratività della scrittura drammaturgica dell’autore napoletano, mescolata ad una vera e propria partitura narrativo- musicale, gioca sulla voce e sul ritmo, si mescola alla Storia, si “auto” eleva grazie all’importanza dell’“epicità della narrazione”, come Moscato ama spesso definirla. In effetti ritroviamo elementi nati dalla mente fantasiosa dell’autore, ma anche e soprattutto il riferimento al terremoto dell’Ottanta, definito spartiacque sociale e culturale di un’intera epoca, fino ai ricordi che segnano da sempre il racconto di vita del nostro autore. (…) Imma Villa non sbaglia un colpo.

Emanuela Ferrauto, dramma.it

Uno spettacolo di sconcertante attualità, interpretato magnificamente da Imma Villa che ha saputo resistere alla facile tentazione di ricorrere a caricature bozzettistiche per dare più ‘credibilità’ al suo ruolo di travestito. Evitando di esasperare inutilmente la sua naturale femminilità, l’attrice ha restituito tutta la verità di un testo per nulla facile da interpretare. Un finale duro, che non concede alcuna catarsi ed offre, invece, come avvisa Moscato, “la lucida e irrimediabile visione del massacro, dell’eccidio, lo sterminio, non tanto di persone o cose, quanto di idee, emozioni, sentimenti, che tra alti e bassi, per tanti secoli, aveva costituito […] il ‘modus agendi e cogitandi’ del popolo e della città di Napoli”.

Il Pickwick

L’attrice si abbandona ad una particolare tensione fisica, che accompagna la parola, la sottolinea, l’esalta.E se non c’è teatro senza attore, l’attore, qui, è il teatro. L’elasticità vocale e gestuale, i cambi di timbro nelle differenti evocazioni interpretative, illuminano la sala buia, i visi, gli animi, i ricordi. Imma Villa, si fa plasmare dalla materia scrittoria ed affida soprattutto al suo corpo il compito di diventare chiara pagina impressa, facilmente leggibile. Ella stessa sembra attraversare le coordinate del testo: passa da un piano all’altro, tra simbologie e prospettive: sale, scende, si nasconde, riappare, sgattaiola, si intrufola, si perde, traccia linee precise, si trasforma, per non mutare mai nella sua essenza. Il suo corpo si pone quasi in rapporto onomatopeico al suo dire: è scrittura in movimento, che, Cerciello, definisce e potenzia con ritmi sostenuti.

Quarta Parete

Attraverso simbolismi, metafore e serrati giochi linguistici, usando lo spazio scenico, attraverso la bravura di Imma Villa, in maniera funambolica, Carlo Cerciello costruisce un allestimento di grande rispetto e fascinazione e restituisce in pieno il dramma e la metafora di un personaggio tragico, ironico e comico, con la peculiarità delle maschere della tragedia greca.

Il Mondo di Suk

A distanza di oltre trent’anni dal debutto (nel 1982 e poi nell’84, con la regia di Annibale Ruccello) Carlo Cerciello ha ripreso Scannasurice, perché quello “sfaldamento geo-civile” oggi si sta ripetendo, pur senza movimenti tellurici, e mai come ora questo testo appare lungimirante e attuale. (…) Questa volta l’arduo compito d’incarnare le parole dell’autattore è stato affidato a una straordinaria Imma Villa che, sull’impianto di una regia fedele al testo (che mantiene anche il doppio finale aggiunto da Ruccello), riesce dove nessuno prima d’ora era arrivato. Agile nel corpo (che deve sostenere i continui spostamenti sulla grande struttura che fa da scenografia), con la voce tiene il ritmo frenetico e incalzante della partitura: abita le parole e i suoni della lingua con ogni parte di sé, così che diventano una melodia dolcissima e acuta.

Francesca Saturnino, NapoliMonitor

Sul palco la strepitosa Imma Villa che regala un’interpretazione di cui sentiremo parlare a lungo.

Fanpage.it

Lascia un commento